029. Pollivendoli

Pollivendoli

Vincenzo Campi (1530/1535 ca.-1591)

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SCHEDA TECNICA

Autore: Vincenzo Campi (1530/1535 ca.-1591)
Titolo: Pollivendoli
Cronologia: ante 1580 – ante 1581
Materia: tela
Tecnica: pittura a olio
Misure: 215 cm x 147 cm
Inventario: Inv. 1980, 297
Acquisizione: soppressione
Collocazione: Pinacoteca di Brera

NOTIZIE STORICO-CRITICHE

Come per la “Cucina”, anche quest’opera fa parte di quel gruppo di dipinti che pervennero a Brera nel 1809 in seguito alla soppressione napoleonica del convento dei gerolimitani San Sigismondo a Cremona. Il dipinto ricalca fedelmente la tela omonima conservata nel castello di Kirchheim, facente parte della serie delle cinque tele eseguite su commissione del banchiere tedesco Hans Fugger tra il 1580 e il 1581.

Le tele braidensi dovettero essere eseguite certamente prima dei dipinti del Fugger per via delle forti assonanze stilistiche riscontrabili nel pittore nelle opere appartenenti al periodo 1575-1581, tra cui il “Cristo che sta per essere inchiodato sulla Croce” (1575, Museo della Certosa di Pavia), la “Trinità tra le sante Apollonia e Lucia” e l'”Annuciazione” (1579 e 1581, entrambe conservate all’Oratorio di Santa Maria Annunziata di Busseto).

Anche nei “Pollivendoli” emerge la componente umoristica e ridicola riscontrata nella “Cucina”: quì la scena ha il suo centro nel bambino che tenta di strangolare l’anatra mentre la donna lo guarda sorridente. Il Wind (1977) ha individuato nel ciclo di Kirchheim simbologie allusive alla copulazione e all’accoppiamento sessuale, così come avviene anche nel dipinto in esame, in cui il becco dell’oca si trova all’altezza dei genitali del bambino, gesto per la quale attira lo sguardo della donna.

Il soggetto riscosse ampio successo in ambito cremonese, tanto che se ne registrano almeno due versioni: una è nota attraverso una riproduzione fotografica conservata alla Fondazione Longhi di Firenze, mentre l’altra, attribuita erroneamente al Campi, è esposta la Museo di Olomuc nella Repubblica Ceca. Infine, nel catalogo della collezione milanese di Giuseppe Vallardi redatto da lui stesso, compariva una tela con soggetto simile di dimensioni ridotte (102 x 112 cm circa) che venne dispersa in occasione della vendita della collezione avvenuta nel 1872.